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I comuni del Parco

Alessano

È uno dei luoghi centrali della geografia del Capo di Leuca, incluso nelle stampe del Voyage Pittoresque del Grand Tour, Alessano (che comprende anche Montesardo e Novaglie) è uno dei centri storicamente più importanti della zona. Sede vescovile (sino al 1818) fu capoluogo di Contea con gli Angioini ed aveva il governo di Arigliano, Caprarica del Capo, Giuliano di Lecce, Matino, Miggiano, Montesardo, Patù, Presicce, Ruggiano, San Dana e Specchia. Il suo Centro Storico è uno dei più ricchi della zona, con importanti palazzi che ne testimoniano la grande fioritura economica e commerciale che è durata dal XV secolo sino al XIX. Tra le famiglie nobiliari che hanno lasciato traccia nel tessuto urbano si contano i Della Ratta, i Del Balzo, i De Capua, i Gonzaga di Guastalla, i Guarini, i Trani, i Brayda, gli Ayerbo d'Aragona e gli Zunica-Sforza. Tra i palazzi del Centro storico si segnala il Palazzo Ducale, della fine del Quattrocento, edificato dai Del Balzo che divenne celebre quando Isabella di Capua, sposa (1530) Ferrante I Gonzaga, principe di Molfetta e Viceré di Sicilia che lo usa come residenza familiare. Da Segnalare anche Palazzo Legari (1536) oggi sede della biblioteca comunale, nonché lo splendido Palazzo Sangiovanni (XV sec.) caratterizzato da quello splendido bugnato che ne caratterizza la facciata, tanto da essere chiamato anche “palazzo dei diamanti”. Oltre ai nobili, Alessano vanta anche una lunga serie di uomini illustri, tra cui Don Tonino Bello e Oronzo Gabriele Costa, insigne naturalista (1787-1867). Papa Francesco, il 20 aprile del 2018 è giunto ad Alessano sulle orme di Don Tonino Bello per il 25° anno della sua scomparsa. L’architettura religiosa è molto ricca, si segnalano la neoclassica Chiesa Matrice del SS. Salvatore, riedificata nella seconda metà del ‘700 sulla base della cattedrale romanica (1150-1200) fu terminata nel 1845 -dopo quasi un secolo- e non fu più cattedrale, in quanto la cattedra vescovile di Alessano era stata soppressa ed accorpata a quella di Ugento. La veneratissima chiesa di Sant'Antonio da Padova (XVI - XVII sec), secondo la leggenda, come riportato da un'epigrafe del 1671 all’interno della chiesa, la stessa sarebbe stata edificata da San Francesco d'Assisi. La chiesa ed il convento dei Cappuccini (1658) conservano alcune delle preziose testimonianze della ricchezza della comunità di Alessano. Tra di esse l’altare monumentale in legno intarsiato e la grande tela Il perdono di Assisi, donata da Laura Guarini. Attualmente una parte del convento è occupato dai Frati e un'altra è destinata ad ospitare la Casa Francescana di spiritualità dedicata a Don Tonino Bello, nato ad Alessano il 18 marzo 1935. In passato, il convento disponeva di una ricchissima biblioteca: nel 1884, su disposizione ministeriale ed a seguito della soppressione del 1861, i libri furono trasferiti nella Biblioteca Piccinno di Maglie. Si segnalano anche la Chiesa della Madonna Assunta, la Chiesa della Madonna del Riposo. I dintorni di Alessano mostrano importanti testimonianze e conservano notevoli zone naturalistiche. Il più celebre è l’insediamento rupestre di Macurano. Il nato con i monaci italo-greci è lungo la direttrice che collega Alessano a Marina di Novaglie mostra i resti delle grotte di una laura basiliana nonché dei frantoi ipogei. Nei pressi vi sono due frantoi ancora utilizzati: trappeto Sauli e trappeto Santa Lucia. Una parte dell’insediamento, infatti, fu in seguito occupato dalla Masseria Santa Lucia. Sempre ad Alessano c’è la Serra dei Cianci (196 metri S.l.m.) che è il punto più alto delle serre salentine, sulle cui pendici c’è il Bosco Boceto, la chiesa del Crocefisso (1651), Montesardo e la Chiesa affrescata di Santa Barbara. Sul mare c’è Novaglie, con le sue grotte dei monaci italo greci, il porticciolo, le grotte marine, gli antichi approdi, le pajare a picco sul mare, la Torre del Porto e le ville fin de siécle costruite tra la fine dell’ottocento ed i primi del Novecento, che rappresenta uno dei tratti più suggestivi del Parco Otranto Leuca.  Tra le sue grotte costiere, infatti, ci sono la Grotta Azzurra, le Grotta del Diavolo, la Grotta di Porto Vecchio e le Grotte delle Cipolliane. Qui, dal Ponte Ciolo, si apre il percorso delle Cipolliane (link: https://www.sentierinelparco.it/sentieri/sentiero-delle-cipolliane/).

Andrano

L’abitato di Andrano è uno dei feudi del Salento ed ha seguito la sua evoluzione storica che lo ha portato all’attuale configurazione, dominata dal Castello Spinola Caracciolo. Non è un caso che il nucleo principale sia dominato dalla fortezza, in quanto l’antico casale, a partire dal medioevo entra nelle cronache tra quelli che subiscono le incursioni nemiche. Nasce così, infatti, Andrano quando, a partire dal V secolo, durante le invasioni barbariche, sono distrutti i villaggi di Feronzo e Cellino, sulle cui macerie nascono la Marina di Andrano ed il centro abitato. Secondo l’arditi, il centro fu posto sotto la protezione di Sant’Andrea, patrono dei pescatori. Feudo importante, passò di mano tra le diverse famiglie nobiliari pugliesi, così lo troviamo (1196) infeudato a Pietro De Curla da qui alla Rossi e poi ai De Castelli (1341), ai Sambiase (1354) e da questi ai Capece (1358). Fu nel XV secolo che ottenne la sua stabilità con le famiglie De Hugot (1404), Del Balzo-Orsini (1431) ed infine Saraceno (1466), che lo tennero poi per un secolo e mezzo. Nel 1606 il feudo divenne proprietà della famiglia Spinola, ai quali subentrarono nel 1660 i Gallone. Nel 1734 fu acquistato dai Caracciolo che furono feudatari fino all'eversione della feudalità nel 1806. Il Castello seguì la storia feudale del centro abitato trasformandosi gradualmente, sino a divenire quello che è oggi: un mix tra un castello difensivo ed un palazzo gentilizio nobiliare. Il primo nucleo è testimoniato dalla Torre cilindrica tipica dei castelli salentini, con beccatelli e toro marcapiano che ne dividono le altezze; i resti del fossato e la torre sud occidentale. Tra i vari rimaneggiamenti si segnalano le finestre circondate da eleganti modanature e la scalinata monumentale (XVI sec.) che si notano all’interno del cortile. È questo il periodo di completa trasformazione, a partire dal 1622, quando il maniero è acquistato da Alessandro Gallone che lo arricchisce del loggione interno, del balcone in stile barocco che si affaccia sulla piazza, delle splendide modanature alle finestre arricchite dai motti in latino. Nel Centro abitato si segnalano la Chiesa matrice di Sant'Andrea Apostolo (1741) che prende il posto della precedente parrocchiale. Fu poi rimaneggiata ed ampliata in stile neoclassico nel 1836. Oggi si presenta con la facciata divisa in due ordini sovrastata da un timpano triangolare. La Chiesa di San Domenico (1561) ricorda le continue incursioni dei pirati turchi nel Salento. Fu costruita da Nicola Prino di Tutino in sostituzione dell’antica chiesa del (1486) edificata dai Saraceno per accogliere le spoglie di Giovanni Antonio Saraceno della Torrella, uno degli eroi della invasione turca di Otranto del 1480 che fu sepolto qui nel 1489. Divenne, in seguito, un convento (XVI sec.) dei Domenicani. L'interno, ad aula unica rettangolare con presbiterio, ricorda sempre l’invasione turca di Otranto, poiché nell’altare altare maggiore in stile barocco, c’è l’affresco quattrocentesco del miracolo della Madonna delle Grazie, che respinge l’attacco dei pirati Saraceni. Degna di nota è anche la chiesa che racchiude la Cripta della Madonna dell’Attarico. In quest’ultima ci sono i resti di affreschi, una croce templare graffita e l'affresco della Vergine col Bambino tra due santi, uno dei quali mostra la palma del martirio. Molto venerata, da vita alla Festa della Madonna dell’Attarico in agosto. Andrano ha due importanti frazioni. Una di esse è lo splendido borgo di Castiglione d'Otranto accorpato ad Andrano nel 1859. Era uno dei centri di rito e cultura greca del Salento e tale rimase sino al XV secolo. Il “Castiglione” cioè la fortezza è raffigurata nell’antico stemma civico (un castello con tre torri ed un leone). Castiglione ebbe due Abbazie: una nel 1102 di collazione regia che fu denominata di S. Maria a Tobieda (oggi S. Maria Maddalena), e l'altra nel 1190 di S. Mauro, prebenda cardinalizia. Nel 1300 fu infeudato agli Orsini Del Balzo, poi ai D'Aragona (che innalzarono il feudo a "Baronia" autonoma e "franca di tributi feudali e regi"). Ne furono in seguito Baroni i Rondachi d'Otranto, i Castriota Scandembergh ed infine i Bacile di Castiglione, che conservano, ancora oggi, il titolo nobiliare di Baroni di Castiglione.

La Marina di Andrano

È celebre per la sua Grotta Verde, per lo splendido lungomare delle agavi e per la Torre Porto di Ripa (Torre di Andrano) del XVI secolo. La zona Torre presenta due punti di balneazione particolarmente attrattivi: la spiaggia della "Grotta Verde" che riflette i raggi del sole colorandosi di verde smeraldo; e la spiaggia nota come "Fiume" così chiamato per la presenza di sorgenti di acqua dolce e in passato utilizzato come porticciolo per il riparo di piccole imbarcazioni. La zona Botte, invece, comprende la spiaggia omonima della "Botte" oltre al caratteristico porticciolo, cavato tra la roccia per dare riparo a piccole imbarcazioni da pesca e da diporto.

Castrignano del Capo

L’antico borgo di Castrignano del Capo, subito a ridosso del Capo di Leuca, ha rappresentato per secoli un centro di difesa dell’entroterra salentino. Posto a difesa sia del territorio interno del Salento, sia della strada dei pellegrini in viaggio verso il Santuario di Leuca. Il borgo, divenne dapprima una “Terra” con le fortificazioni che cingevano l’abitato. Il suo nome è dato dal classico suffisso romano (-anus -atus cioè terra di) per cui equivarrebbe, appunto, a terra del castello. Le sue fortificazioni furono riadattare nel periodo in cui fu infeudato ai Fersini. Da Portaterra si entrava al suo interno dove, ancora oggi, si nota l’impianto medievale fatto di viuzze strette e vicoli, nonché di frantoi ipogei. Dalla morte di Giovanni Antonio Orsini del Balzo Castrignano, parte della contea di Alessano, fu feudo di diverse famiglie nobiliari: Francesco Del Balzo, Ferrante de Capua, Ferdinando Gonzaga, Ettore Brayda e, dal 1602, la famiglia Guarini e Ayerbo d’Aragona. Le strutture difensive dell’impianto originario vengono ricostruite nel 1557. L’abitato si estendeva lungo un asse che Borgo Terra arrivava fino all’attuale piazza Indipendenza. Nel XVII secolo, a seguito di un imponente aumento demografico, l’espansione urbana supera ormai ampiamente i confini dell’insediamento antico e si svolge lungo una direttrice settentrionale, a ridosso della via Chiesa, che collega piazza S. Nicola con la Parrocchiale. Nel 1743 Castrignano subisce molti danni a seguito del terremoto. Ancora alla fine dell’Ottocento erano in piedi resti di mura e di torri dell’antica cinta fortificata. Il territorio va dalla serra di Vereto (l’antica Veretum) sino a Santa Maria di Leuca de finibus terrae, comprendendo Salignano e Giuliano. Questi luoghi furono continuamente oggetto di incursioni saracene, turche ma anche dei corsari barbareschi, insediati ad Algeri, che seminarono il terrore nel Mediterraneo, dove ridussero in schiavitù migliaia di persone. Questa linea di frontiera è testimoniata, ancora oggi, dalle innumerevoli fortificazioni fatte di torri costiere, rifugi fortificati e dal borgo di Castrignano. In esso, ancora oggi, troviamo palazzi nobiliari (Palazzo Cardone, Palazzo Gualtieri) e chiese barocche, tra cui la Chiesa Madre di San Michele Arcangelo, risalente al XVIII secolo, con interni ricchi di altari barocchi e la Chiesa di San Giuseppe.

Salignano

È uno dei centri che conserva ancora lo stile del piccolo borgo alla salentina. Qui si può ammirare la Torre di difesa (1550) alta quindici metri e larga venti, è dotata di dieci piombatoi e cinque cannoniere ed è a forma circolare. Da segnalare anche le chiese di Sant'Andrea e della Purificazione. La matrice di Sant'Andrea Apostolo (protettore di Salignano) edificata dal 1788 al 1854, fu consacrata nel 1855.

La chiesa della Purificazione del (XVI sec.) conserva il quadro della Purificazione coevo alla chiesa.

Giuliano

Giuliano è un centro fortificato posto a guardia della zona. Si trova ancora il portale d’ingresso che introduce al centro Storico ed al Castello che mostra ancora il suo fossato difensivo ed i bastioni, la chiesa di San Giovanni Crisostomo, la chiesa della Madonna del Canneto. Interessanti le iscrizioni latine a volte benedicenti, altre volte con motti, come quella celebre sul frantoio ipogeo: "impiantato non con speranze di guadagno, ma di libertà nell'anno del Signore 1789".

Qui c’è anche il menhir “Menzi” l’unico del Salento ad avere una copertura orizzontale sulla sommità.

Vereto – Crimino

L’antica Vereto, sull’altura che domina il Capo di Leuca, citata nelle fonti classiche, fu interamente distrutta. I suoi abitanti, abbandonarono il sito per trasferirsi nei dintorni, fondando spesso nuovi borghi. La sua bellezza è -ancora oggi- incomparabile. Sulla collina, uno baluardo che ricorda gli antichi fasti, c’è solo la chiesa della Madonna delle Rasce (dei rovi, quindi) nella zona detta Crimino, dove in passato esisteva un borgo nato dalla distruzione di Vereto. I lavori iniziarono nel 1678 e si conclusero nel 1699.

Santa Maria di Leuca

Qui entriamo nel mito e nella storia. Leuca “La bianca” (dal greco leukos) ha una storia millenaria, con testimonianze archeologiche che risalgono al Neolitico e all’età del Bronzo. Qui era l’Akra Japigia, il promontorio che segnalava ai naviganti del mondo classico l’arrivo in Italia, da dove, dicono le antiche cronache greche “si va verso il golfo di Taranto” dov’era la celebre colonia greca. Qui sorgeva il tempio di Minerva, sostituito oggi da quello del XVIII secolo. Più volte distrutto dalle scorribande dell’impero ottomano, dei turchi, dei saraceni. Il Santuario, da secoli dispensa indulgenze ai pellegrini grazie alle numerose disposizioni del Vaticano: la Bolla di Innocenzo XI; il breve di Benedetto XIII (1726); la Bolla di Pio IX (1876); la Bolla di S. Giovanni XXIII (1959) ed il Breve apostolico di S. Giovanni Paolo II (1990) gli ha concesso il titolo di Basilica Pontificia. Per quest’ultimo privilegio i fedeli possono ottenere l’indulgenza plenaria, alle consuete condizioni, nei giorni delle principali ricorrenze collegate al Santuario.

Nei pressi sorge l’imponente Faro di Leuca costruito nel 1866, tra i più importanti d’Italia con i suoi 47 metri di altezza e 102 metri sul livello del mare. Il suo fascio di luce è visibile fino a 50 km. E poi c’è la Scalinata Monumentale della fine dell’Acquedotto Pugliese. Con i suoi 284 gradini che collegano il Santuario con il porto sottostante. Qui siamo a “Finubus terrae” ai confini dell’Italia come pensavano i romani. Prima della fontana monumentale, l’antica scalinata era il luogo del mito anche per i Messapi. Ancora oggi, la tradizione salentina che riprende quella classica, impone a tutti gli abitanti della Terra d’Otranto, di percorrere, almeno una volta nella vita, tutti i suoi gradini, altrimenti dovranno farlo da morti, prima di poter entrare nell’aldilà.

Al di sotto del veneratissimo santuario, che da secoli dispensa indulgenze ai pellegrini, si apre il celebre lungomare di Leuca, con il suo porto turistico e Punta Ristola e Punta Meliso le quali delimitano idealmente l’incontro tra Ionio e Adriatico. Su quel lembo estremo d’Italia sono fiorite le prime forme di turismo, come testimoniano le innumerevoli e spettacolari ville fin de siécle costruite tra Otto e Novecento. Tra di esse si segnalano Villa Meridiana, Villa Daniele, Villa La Punta, Villa Mellacqua. Sempre la costa è difesa dalle antiche torri costiere Marchiello e dell’Omomorto fatte edificare nel XVI secolo da Viceré Don Pedro Afan De Ribeira.

Il mare di Leuca offre fondali spettacolari, profondi e ricchissimi, un paradiso per il diving e lo snorkeling. Ma il pezzo forte sono le sue grotte, tra cui: Grotta del Diavolo, Grotta del Drago, Grotta Porcinara, Grotta Tre Porte, Grotta degli Innamorati.

Castro

La “perla del Salento” l’antica Castrum minervae si mostra ancora oggi, verticale sul mare con la sua rocca che ricorda le acropoli della Grecia Classica. Leuca, porto Badisco e Castro si sono sempre conteso lo sbarco di Enea in Italia, ma qui è più che una suggestione, poiché i resti della Dea minerva e del suo tempio sono stati recentemente portati alla luce ed offrono una suggestione unica per chi ama il Mediterraneo del mito e della leggenda. Durante il periodo romano, Castro fu un centro fiorente, come testimoniano numerosi reperti archeologici, tra cui mosaici, resti di terme e strade lastricate. Tuttavia, già nella preistoria le grotte costiere, in particolare la Romanelli e la Zinzulusa, hanno conosciuto la presenza umana. La nascita di un primo centro urbano avvenne al tempo delle migrazioni liburno-illiriche e pelasgiche (XVII-XVI secolo a.C.) quando dal vicino Epiro mossero verso occidenti popolazioni provenienti dalla penisola balcanica. Fu abitato dai Messapi e dai Greci per poi essere identificato con il nome di Castrum Minervae durante il periodo romano nella tabula peutingeriana. In seguito alla divisione dell'impero romano, Castro divenne un possedimento di Bisanzio e subì frequenti attacchi ad opera degli Alani e degli Ostrogoti nel 378, dei Vandali nel 456, dei Goti nel 543, dei Longobardi e degli Ungari. Nel 682 fu una delle prime città del Salento ad essere eletta a sede vescovile da papa Leone II. Con la conquista normanna e la successiva dominazione sveva, divenne un fiorente centro commerciale e caposaldo militare. Venne conquistata dagli Arabi per undici anni che la considerarono centro importantissimo e nelle loro carte la indicarono come Al Qatara (il Castello). Dal 1046 al 1068 Castro fu contesa tra Normanni e Bizantini. Nel 1103 fu elevata a Contea con la famiglia degli Altavilla. Nel 1270, la Contea di Castro, passò sotto il principato di Taranto. Nel corso dei secoli si succedettero i Biellotto, i De Franco, i De Bugiaco, gli Orsini del Balzo e i della Posta. Nel 1534 Carlo V concesse la Contea alla famiglia Gattinara. In questo secolo la città dovette subire devastanti incursioni ad opera dei pirati saraceni. Le più terribili, nel 1537 e nel 1573, la prostrarono definitivamente: conti e vescovi l'abbandonarono per sedi più comode e sicure; la popolazione superstite si trasferì nei casali dell'entroterra e l'antica Castrum Minervae rimase desolata. In seguito passò ai Ruiz de Castro, ai Lopez di Zunica e, dal 1777, alla famiglia Rossi che governò sino all'eversione della feudalità nel 1806. La soppressione della diocesi nel 1818 fu il colpo di grazia. Il piccolo centro venne così aggregato al comune di Diso costituendone una semplice frazione. La rinascita della cittadina e lo sviluppo della stessa in un attivo centro di pescatori, artigiani ed operatori turistici, tuttavia, inizia sul finire dell’ottocento ed i primi del Novecento e la portò a riavere l'autonomia comunale nel 1975. In questi ultimi anni, il tempio di Minerva, distrutto nel Medioevo, è stato riscoperto in parte grazie agli scavi archeologici avviati nel XXI secolo che sono ancora in corso e rivelano, di anno in anno, nuove scoperte. Castro è uno dei pochi luoghi in Italia ad avere prove archeologiche concrete della presenza del culto di Minerva. Oggi, dopo i restauri del sul bellissimo centro storico, Castro Marina e Castro alta sono tra le mete più ambite da parte di chi viene in vacanza nel Salento. Il suo Centro Storico mostra lo splendido Castello Aragonese, edificato sui resti delle antiche rocche bizantine e normanne, fu riedificato nel XVI secolo dopo la distruzione turca. Si presenta con i suoi bastioni, il fossato e le torri angolari da cui si scorge una gran parte del canale d’Otranto. Al suo interno c’è il Museo Archeologico di Castro, che custodisce reperti provenienti dagli scavi locali, tra cui gli splendidi resti decorativi del Tempio di Minerva, opere d’arte del periodo classico, realizzate nella pietra leccese, in particolare la statua della dea Atena e poi i più antichi esempi d’arte, risalenti al IV sec. a. C., che se non fossero stati trovati nel corso di scavi archeologici si potrebbero confondere con le decorazioni del barocco leccese. La Cattedrale dell’Annunziata, edificata nel 1171 sui resti di un’antica basilica paleocristiana, mostra all’esterno i resti dell’antica chiesa bizantina. Di impianto romanico, con rimaneggiamenti barocchi, conserva affreschi bizantini e una cripta di epoca paleocristiana. La Cripta della Madonna del Rosario sotto la cattedrale, è un piccolo gioiello di architettura sacra bizantina. Conserva affreschi votivi medievali e simboli paleocristiani. Splendido il percorso della Cinta Muraria e Porta Terra con l’ingresso monumentale al borgo antico. Lungo questo percorso si alternano le fortificazioni medievali con tratti di mura che risalgono al periodo messapico e romano. A Castro Marina, lo c’è lo storico porto naturale utilizzato fin dall’antichità.

Oggi è punto di partenza per escursioni in barca verso le grotte e la costa. Tra i gioielli nascosti lungo la falesia c’è la Grotta Zinzulusa, tra le più importanti grotte carsiche d’Italia. Il nome deriva dagli “zinzuli”, stalattiti che pendono come stracci. La Grotta Zinzulusa si è formata a causa dell’intensa erosione marina che ha interessato l’area circostante. Le prime informazioni storiche risalgono a una lettera inviata nel 1793 dal vescovo di Castro monsignor Del Duca a re Ferdinando IV, in cui viene descritta dettagliatamente la grotta. Tuttavia, è stato a partire dal 1922 fino al 1958 che la grotta ha attirato l’attenzione con numerose visite, esplorazioni e pubblicazioni scientifiche riguardanti la sua storia, la sua geologia, l’etnologia e la biologia. La Grotta Zinzulusa è di grande rilevanza scientifica per le numerose specie animali sotterranee che vi si trovano, soprattutto crostacei, molti dei quali sono antichi e unici della grotta stessa o della Penisola Salentina. Dal punto di vista etnologico, durante lo stesso periodo di esplorazioni scientifiche, sono stati rinvenuti numerosi reperti e manufatti di diverse epoche, come il Neolitico, il Paleolitico e l’epoca romana. Questi reperti includono micro bulini, lame, grattatoi, cocci di ceramica, manufatti in osso, selce e ossidiana, fornendo testimonianza di una presenza umana antica e regolare all’interno della grotta.

La Grotta Romanelli (non visitabile al suo interno) scoperta nel 1900, è uno dei più importanti siti preistorici del Mediterraneo. Vi sono stati rinvenuti graffiti, resti umani e strumenti litici risalenti al Paleolitico. Dal Belvedere di Castro si può godere di una vista mozzafiato sulla costa adriatica. Tra i sentieri del Parco si segnala il Sentiero del Pellegrino, cammino escursionistico che collega Castro al Santuario di Leuca ed offre scorci unici su grotte, falesie e torri costiere.

Corsano

Corsano, piccolo comune della provincia di Lecce, sorge nell’estremo sud della Puglia, a pochi chilometri dal litorale adriatico. Le sue origini risalgono al periodo bizantino (IX-X secolo), anche se il territorio fu frequentato sin dalla preistoria, come attestano resti di antichi insediamenti. Corsano fece parte della Contea di Alessano e del Principato di Taranto (1088 - 1463). Nel 1190 il re normanno Tancredi d'Altavilla lo diede in dono a Fabiano Securo, primo feudatario che munì il paese di mura. Nel XIII secolo passò ad un tal cavaliere Guglielmo da Corsano e alla sua famiglia, successivamente a un tal Landolfo d'Aquino. Sul finire del XIII secolo il feudo risultava diviso in quattro parti, appartenenti a quattro diversi signori: Rynaldo de Bellante, Giovanni de Specula, Filippo de Hugot e a Marsilio da Corsano. Nel 1377 - 1378 risultava diviso tra i fratelli Filippo e Simone de Cursano. Nel 1525 appartenne per metà a Bernardo de Frisis e per l'altra metà a Col Angelo Securo. Fu feudo dei De Capua e dei Filomarino. Successivamente ritornò ai Securo. Ultima rappresentante di questa famiglia fu Giovanna, figlia di Severino barone di Corsano, che andò in sposa a Giovanni Cicala, secondo barone di Castrifrancone. Nipote di questi, Giovan Giuseppe fu l'ultimo barone di Corsano poiché il 24 maggio 1636 vendette il Casale con atto notarile di Giovan Alfonso Rausa di Lucugnano a Giovan Tommaso Capece. I Capece detennero il titolo di Baroni di Corsano fino all'eversione della feudalità avvenuta nel 1806.

Nel Centro storico, in Piazza Umberto I, c’è il Castello Baronale Capece. Questo splendido monumento, che oggi necessita di un restauro, fu eretto intorno al XVII secolo sui resti di un'antica fortezza voluta da Fabiano Securo che aveva avuto il feudo di Corsano quale donazione da parte del re normanno Tancredi nel 1190. Modificato più volte nel corso dei secoli, mostra uno splendido giardino pensile che è la parte in cui è più urgente il restauro. Le stanze mostrano della volta a stella e a botte, oltre ai resti di affreschi nei vani del piano nobile ed alcuni bassorilievi nella sala del trono. Al corpo principale un tempo era annessa la cappella di S. Vito. Il suo ultimo destino, prima dell’abbandono, fu quello di deposito di tabacchi. La leggenda vuole che i Capece crearono un passaggio segreto “u travùcculu” (il trabocchetto), per far fuggire il barone in caso di pericolo. Per garantire il segreto di questo passaggio, il barone fece uccidere sia il progettista che il costruttore dell'opera. La chiesa di Santa Sofia fu ricostruita nel 1939 sulle rovine dell'omonima chiesa risalente al XVI secolo e crollata il 17 aprile 1932 a causa del cedimento del campanile. La facciata richiama lo stile romanico. L'interno, a pianta basilicale a tre navate, possiede tre altari, il maggiore dedicato a santa Sofia e i due laterali a san Biagio e alla Madonna del Rosario. Dell'antica struttura rimangono un battistero in marmo di Carrara dei primi anni del XIX secolo, vari dipinti e un pulpito ligneo recante la data 1777. La parrocchiale di san Biagio, dedicata al protettore, fu inaugurata il 19 marzo 1967. La chiesa dell'Immacolata risale alla seconda metà del XVIII secolo, una pergamena del 1777 conferiva particolari privilegi alla confraternita che vi officiava nella chiesetta. Presenta un prospetto in pietra leccese con paraste e due nicchie ai lati del portale d'ingresso con le statue di sant'Antonio di Padova e san Francesco di Paola. All’interno c’è un altare barocco dedicato alla Madonna Immacolata e due logge che ospitano il coro e l'organo a canne. È presente una statua dell'Immacolata del 1871. La cappella di San Bartolomeo (1714) è posta sulla strada di campagna che conduce alla Marina di Novaglie, di fronte alla dimora nobiliare della famiglia Bortone, e conserva la tela del martirio di San Bartolomeo (proveniente dalla vecchia chiesa di Santa Sofia) ed una statua in cartapesta risalente alla prima metà del XVIII secolo. Sulla strada che da Corsano conduce a Marina di Novaglie si trova la Cappella di Santa Maura.

Corsano si affaccia sul Mar Adriatico attraverso la sua marina rocciosa che rappresenta uno dei tratti più selvaggi e suggestivi del Salento. Lungo la costa, si incontra la Torre di Specchia Grande e della spettacolare Torre del Ricco, sentinelle che, ancora oggi, sorvegliano la costa, da Scalamasciu, a Funnuvojere, da Scala Preula alla Guardiola. Lungo questo tratto di mare si aprono spettacolari grotte costiere come la Grotta Azzurra con i suoi meravigliosi giochi di luce. Corsano è attraversata da una fitta rete di sentieri escursionistici che scendono dalla Serra fino al mare. Da qui passa il Sentiero delle Cipolliane, il Sentiero della Vecchia Ferrovia (dell’antica linea ferroviaria dismessa, oggi trasformato in cammino tra la macchia mediterranea, con ponti e gallerie panoramiche). Da Corsano si può raggiungere il sentiero del Ciolo e sempre da qui passa l’Anello delle Vie del Sale. Una rete di antichi tratturi costieri, utilizzati un tempo per il trasporto del sale dalle coste all’entroterra che oggi è uno degli itinerari escursionistici più amati del basso Salento.

Gagliano del Capo

Il centro era uno dei corion bizantini tanto da conservare il rito greco sino al XVII secolo. In questo luogo c’erano numerosi possedimenti della Curia Arcivescovile di Otranto e della massa dei beni appartenenti all’Abbazia di san Nicola di Casole che dava in uso tali fondi. Nell'877, come tutti i centri limitrofi, accolse i superstiti della città di Vereto scampati alla furia distruttiva dei Saraceni. Anche questa terra, come tanti altri casali di Terra d'Otranto, è stata protagonista di varie vicende feudali. Durante il dominio angioino (tra il XIII e il XV secolo) divenne feudo di Isolda De Nocera, del milite francese Guglielmo Brunel e di Mariotto Corso. Nel 1495, Ferdinando d'Aragona concesse il casale a Giovanni II Castriota, figlio di Giorgio Castriota che, quando era a Gagliano abitò nel castello situato accanto alla chiesa parrocchiale. Tra il 1413 e il 1421 il borgo fu dotato di mura e divenne rifugio degli abitanti dei casali vicini (Valiano, Misciano, Prusano, Santu Dimitri, San Nicola e Vinciguerra). Nel 1547, dopo l'ennesima invasione dei pirati saraceni che deportarono numerosi cittadini, le fortificazioni furono rafforzate. Nel XVII secolo il feudo passò a Laura Guarini, dei Conti di Alessano, fino all’eversione dalla feudalità.

Tra gli edifici di maggior rilievo troviamo la Chiesa matrice di San Rocco (1580) dedicata a Santa Maria Assunta. La facciata, in carparo, presenta un portale del 1664, una finestra centrale ed un bassorilievo di san Nicola, patrono della città, proveniente dall'antica chiesa di rito greco. L'interno, ad aula unica, è caratterizzato da una volta a lunetta e da decorazioni a festoni. Le pareti della navata sono articolate da lesene e sono arricchite da otto altari, alcuni dei quali eseguiti dai grandi maestri del barocco leccese. Tra di essi quello delle Anime Sante del Purgatorio e di San Rocco dello scultore alessanese Emanuele Orfano. Vi è poi l'altare della Passione con le sculture lignee dell'artista gallipolino Genuino Vespasiano, nonché l'altare di Santa Teresa del Bambin Gesù di Placido Buffelli. Notevoli anche le tele della Vergine del Rosario (1614) di Giandomenico Catalano, della Vergine con le Anime Purganti (1771) di Oronzo Tiso e della Vergine del Carmine con i Santi Biagio, Carlo Borromeo, Giacinto, Pietro martire (1778) di Saverio Lillo.

La chiesa dell'Immacolata, sede dell'omonima Confraternita, fu edificata nel 1860 sulle rovine della piccola cappella di sant'Angelo risalente al XVII-XVIII secolo. Al suo interno, nel 1884, venne realizzato il pavimento in mosaico, opera dei fratelli Antonio e Ippazio Peluso di Tricase.

La chiesa di San Francesco di Paola, annessa al convento dei Minimi costruito nel 1640, fu realizzata nel 1613 sulle fondamenta di una chiesa di rito greco dedicata a Sant'Elia. In precedenza c’era la parrocchiale del casale di Prusano (1401-1405) fatta edificare da Raimondo Orsini Del Balzo. Il nuovo edificio fu voluto da Giovanni Castriota Scanderbeg, feudatario di Gagliano. La facciata, delimitata da due lesene e coronata da un timpano spezzato, è arricchita da tre nicchie con statue e da un portale d'ingresso posto in asse con un finestrone realizzato a traforo con 29 finestrelle quadrate e 11 circolari che formano una croce. L'interno, a navata unica, è coperto da una volta a botte lunettata decorata con stucchi e affrescata con tre ovali raffiguranti le scene dell'Assunzione, della Vergine di Leuca e del Miracolo di san Francesco, databili alla metà del XVIII secolo. Lungo la navata si aprono otto brevi cappelle contenenti altrettanti altari, dedicati a san Giuseppe, sant'Elia, Pietà, san Francesco da Paola, san Michele, Vergine del buon rimedio, beati Minimi, e santa Caterina da Siena. Il presbiterio accoglie il settecentesco coro ligneo e l'altare maggiore in marmo policromo. Dal 1809 al 1871, il complesso conventuale fu abbandonato e la chiesa fu utilizzata come pubblico cimitero fino al 1867. Fu riaperta al culto nel 1871 e per l'occasione fu realizzato il pavimento in maiolica.

La cappella di Santa Maria di Costantinopoli, fu costruita nei primi anni del XVII secolo per volontà della famiglia patrizia otrantina dei Della Gatta, di cui faceva parte il celebre pittore paesaggista napoletano Saverio Xavier Della Gatta. La struttura, ad unica navata, possiede una semplice facciata sormontata da un timpano triangolare. È dotata di un piccolo campanile a vela. Abbandonata e usata nel corso del XIX secolo come fienile e ovile, fu riaperta al culto il 7 maggio 1961. Nella nicchia dell'altare maggiore è custodita la statua della Madonna di Costantinopoli.

Tra le sue strade dal fascino antico, si snodano i magnifici palazzi nobiliari come Palazzo Daniele (fin de siécle), Palazzo Comi (costruito nel XIX secolo inglobando ambienti del XVI secolo e del XVIII secolo); Palazzo Buccarello (1690); Palazzo Bitonti (XIX sec.); Palazzo Bleve (XVIII sec) con il suo splendido loggione in pietra leccese; Palazzo Protopapa-Sergi (XVII-XVIII sec.); Palazzo Gargasole (XVII sec.) con il suo portale bugnato. Ma il palazzo più celebre è Palazzo Ciardo, casa natale del pittore Vincenzo Ciardo. Prese il posto (1900) del Castello baronale per diventare, interamente, una residenza nobiliare, senza più funzioni difensive. Del suo antico compito di sentinella resta soltanto un torrione al cui interno è ospitata una piccola cappella. Due delle stanze del piano superiore e una del piano inferiore, sono pavimentate a mosaico e recano la data del 1900. Sono presenti inoltre le stalle, con pile per la raccolta di derrate alimentari, ed un torchio in legno del tipo alla genovese.

Arigliano

La prima attestazione dell’esistenza di Arigliano è contenuta in un atto del 10 Giugno 1303, redatto dal notaio Francesco di San Giorgio, tuttavia, il luogo è frequentato sin dalla più remota antichità. Lo testimoniano i menhir di Arigliano posti tra la Cappella dello spirito santo ed il Largo del “Foggiaro” dove ci sono gli antichi sylos per la conservazione del grano e dei cereali. In uno di essi è presente una croce greca, segno di cristianizzazione del monumento pagano, l’altro, scoperto dal professor Giovanni Così nel 1964, è chiamato menhir dello Spirito Santo 1964. Uno è alto 1,30 metri e l’altro, più imponente 1,90.

San Dana

Il borgo è dedicato a San Dana, il Santo Martire albanese. In esso, tra le graziose strade, si può visitare la cripta di Santa Apollonia (VI-XI sec) realizzata dai monaci bizantini dell'ordine di San Basilio Magno. A navata unica, scavata nella roccia, al suo interno mostra ancora la nicchia sedile dell’egumeno. Tra gli affreschi ci sono la Madonna col Bambino, la Trinità, San Francesco d'Assisi e Sant'Apollonia. La Matrice dedicata a San Dana (XVI sec.) ha l'interno, a croce latina, conserva le ottocentesche tele dell'Immacolata e di Santa Lucia, opere del pittore gaglianese Francesco Saverio Mercaldi; inoltre sono presenti una tela raffigurante San Nicola di Bari e la statua del Santo a cui la chiesa è dedicata. San Dana, originario di Valona, la città del Sud dell’Albania, approdò nel Salento, dove prestò servizio come diacono presso il Santuario di Santa Maria di Leuca. Durante un attacco dei Saraceni al Santuario, prese con sé la pisside contenente l’Eucaristia e fuggì per metterla in salvo verso il casale di Montesardo. A poche miglia dal paese, in località la Mora, venne raggiunto e ferito. Prima di morire, per evitare la profanazione dell’Eucaristia, ebbe però il tempo di consumare le Particole Sacre.

Il Canalone del Ciolo

La spettacolare gola prende il nome dalle gazze ladre (ciole, in diletto salentino). Il suo profondo canyon che si getta in mare è uno dei luoghi più iconici del Salento. Il suo ponte, un tempo, era una delle prove di coraggio per i salentini da effettuare attraverso un tuffo in mare dalle sue sponde. Le sue alte e ripide pareti ricche di grotte, incorniciano la spiaggia a ciottoli dal mare trasparentissimo che va dall’azzurro al blu profondo. Qui fiorisce il raro fiordaliso di Leuca insieme alle orchidee selvagge. Le sue grotte hanno restituito resti che vanno dal Neolitico e al Paleolitico. La Grotta delle Prazziche, lunga 42 metri e larga circa 6, meravigliosa, ha restituito le antichissime ceramiche, i manufatti del periodo litico nonché i resti del paleo fauna salentina.

Morciano di Leuca

Alto sul mare, tra le Serre Salentine, da 130 a 165 m s.l.m. dove si erge la Serra Falitte Morciano è uno degli insediamenti a ridosso del Capo di Leuca. La nascita del primo insediamento abitativo di Morciano di Leuca risale al IX secolo ad opera dei profughi della vicina città di Vereto. Tancredi d'Altavilla donò il feudo di Morciano (1190) a Sinibaldo Sambiasi, i cui discendenti ne detennero il possesso fino al XIII secolo. In epoca angioina il casale passò a Riccardus Murchano al quale subentrò nel 1316 Guiscardo Sangiorgio che lo cedette nel 1335 a Gualtieri VI di Brienne. Un tempo faceva parte del comune di Patù, per poi diventare autonomo, nel 1838, ed ottenere, infine, la frazione di Barbarano del Capo nel 1894. Nel suo centro storico si trova la matrice di

San Giovanni Elemosiniere (XVI sec.) edificata su di una struttura preesistente del tardo Medioevo. L'esterno presenta uno stile romanico con aggiunte barocche tra cui il portale settecentesco ed il campanile. L'interno è a tre navate divise da pilastri; gli ultimi due sorreggono l'arco trionfale che separa l'area presbiterale dalla navata centrale. Le navate laterali ospitano pregevoli altari barocchi in pietra leccese sormontati da tele seicentesche e da statue. Interessante, dal punto di vista artistico, è il catino absidale nel quale i recenti restauri hanno riportato alla luce le originarie decorazioni cinquecentesche e gli affreschi raffiguranti la Vergine col Bambino e San Michele Arcangelo. La Chiesa del Carmine, edificata intorno al 1486 dal feudatario Ruggero Sambiasi, nel 1507 venne affiancata dal convento dei Carmelitani (poi abbattuto nel 1967). La chiesa subì un radicale intervento di restauro nel 1597. Ha un prospetto barocco diviso in due ordini da una cornice e termina con un frontone curvilineo. Il portale d'ingresso mostra un bassorilievo raffigurante l'Annunciazione. L'interno è a navata unica ed ospita altari barocchi con tele seicentesche. La chiesa conserva un antico organo e statue in legno e in cartapesta.  La Cappella della Madonna di Costantinopoli (XVI sec.) ha un semplice prospetto rettangolare, con portale e finestra centrali, sormontato da un campanile a vela. L'interno custodisce un affresco della Madonna col Bambino. Notevole è il Castello Castromediano – Valentini pensato da Gualtieri VI di Brienne (XIV sec.) come deterrente nei confronti di Francesco della Ratta, Conte di Caserta, che all’epoca si era imparentato, per matrimonio con i Conti Aunay di Alessano ed era in cerca di nuovi territori da infeudare. È a pianta quadrangolare, degli originari quattro torrioni angolari ne resta solo uno. Uno di essi fu sacrificato (1507) per far posto al Convento dei Carmelitani. È una rondella di tipo aragonese con feritoie e caditoie ornata da beccatelli. I merli della cortina del castello mostrano il giglio di Francia. Il portale d'ingresso, difeso da una piombatoia, è sovrastato da cinque stemmi gentilizi che fungono da ornamento. Attraverso il portone si accede ad un ampio cortile interno intorno al quale sono distribuiti gli ambienti che erano adibiti a fienili, scuderie, legnaia, cucine, officine, botteghe artigianali, forno e deposito d'armi. Sul lato destro è addossato uno scalone che conduce ai piani superiori occupati dagli alloggi degli ospiti e dalle stanze del feudatario. Morciano custodisce anche numerosi frantoi ipogei, sparsi su tutto il territorio, nel solo centro storico se ne contano diciotto e testimoniano l’importanza della produzione agricola della zona.

Torre Vado

Torre Vado è una delle numerose torri di avvistamento costiere fatte costruire nel XVI secolo da Carlo V d'Asburgo per difendere il territorio salentino dalle invasioni dei pirati saraceni. La torre di guardia si trova sulla costa a pochi metri dal mare ed è circondata da edifici costruiti in epoche più recenti. La torre, è a base circolare, si sviluppa su due piani e presenta finestre e feritoie nella parte superiore. È servita da una scala di accesso interna. Con il disarmo delle torri costiere, avvenuto intorno al 1846 su disposizione di Ferdinando II sovrano delle Due Sicilie, la torre è stata adibita a stazione di controllo doganale. Nel 1930 venne acquistata da privati e poi restaurata nel 1935.

Barbarano

Il gioiello di Morciano di Leuca è Barbarano, detto anche Leuca Piccola. Fu Don Annibale Capece, un sacerdote proveniente dalla famiglia baronale dei Capece, che, nel 1685, decise di creare il monumentale complesso di Leuca piccola. Innanzitutto si mise mano alla chiesa dedicata al culto mariano con l’aggiunta del pronao e delle lapidi che suggeriscono al pellegrino di pregare e onorare la vergine Maria; poi fu aggiunto lo stemma dei Capece (il leone rampante su uno sfondo azzurro) occupando lo spazio della finestra preesistente. Proprio qui, si è conservato il disegno preparatorio dell’affresco della Madonna di Leuca, che è -ad oggi- la più antica raffigurazione della stessa. Le pareti della chiesa sono state arricchite da innumerevoli affreschi (1711) e mostrano una lunga serie di Santi tra cui San Francesco di Paola e di San Leonardo, i quattro evangelisti, San Gennaro con le ampolle del suo sangue; Santa Lucia con gli occhi sul piattino; Santa Barbara, Sant’Oronzo etc. L’intero complesso, frequentatissimo perché tappa finale, prima di giungere al Santuario di Santa Maria di Leuca, era fatto per dare ospitalità ai pellegrini. Nei sotterranei della Chiesetta, si vedono, ancora oggi, i giacigli dove i pellegrini qui potevano riposare, mangiare e bere attingendo l’acqua da due enormi pozzi. Davanti al Santuario, dieci archi scandiscono il loggiato in cui si sistemavano i mercanti, la locanda e l’area mercatale annunciata da un arco. In realtà, mancano due arcate, perché furono abbattute quando Barbarano passò da Salve a Morciano ed era necessario rimarcare l’appartenenza creando una nuova carrozzabile (1894). La celebre lapide possiede le dieci P che alludono al motto: “Prima Pensa Poi Parla Perché Parole Poco Pensate Portano Pena”. Nelle rimesse (1709) si fornivano servizi essenziali per i viandanti pellegrini, anche qui un motto si rivolge a loro: “Ferma il piè passegger/Non dar più passo che qui/Trovi comode rimesse. Don Annibal Capece, il qual ci eresse/ Ci destinò pel forestier in spasso”.

Otranto

La città più orientale d’Italia, con Capo d’Otranto che divide per convenzione Ionio ed Adriatico, è uno dei luoghi simbolo del Salento. Città messapica, divenne municipium romano Hydruntum, appunto. Nel periodo romano, Otranto era una delle città marinare più importanti della Puglia. Il lavoro mercantile e di artigianato locale era molto fiorente, soprattutto nella lavorazione della porpora e dei tessuti. Era presente a Otranto una comunità ebraica e ciò fa capire l'importanza commerciale che il centro poteva avere e che andava oltre alle isole Ionie. Prima che Otranto diventasse colonia romana, esisteva già una complessa rete viaria che metteva in comunicazione la cittadina con il resto del Salento e con la Puglia in genere. I Romani non fecero altro che rinforzarla, introducendola nelle loro arterie di comunicazione. Il porto di Otranto, soprattutto nel periodo bizantino, divenne sempre più importante, superando anche quello di Brindisi. L'importanza del suo porto le fece assumere il ruolo di ponte fra oriente e occidente. Otranto fu centro bizantino e gotico, poi normanno, svevo, angioino e aragonese. Nella sua cattedrale, costruita fra il 1080 e il 1088, nel 1095 venne impartita la benedizione ai dodicimila crociati che, al comando del principe Boemondo I d'Altavilla (1050-1111), partivano per liberare e per proteggere il Santo Sepolcro. A Otranto, l'11 settembre 1227, morì Ludovico IV di Turingia, sposo di santa Elisabetta d'Ungheria. Importante fu la comunità ebraica di Otranto, nella seconda metà del XII secolo risiedevano in città 500 famiglie ebree sotto la guida di Meir, Mali, Menachem e Caleb, come testimoniato dal diario di viaggio di Beniamino di Tudela. Qui nacque anche il celebre poeta ebraico Anatoli. Nel 1480 la città fu attaccata dai Turchi di Maometto II, e, dopo 15 giorni di assedio, l'11 agosto la espugnarono, facendo strage della popolazione. Il 14 agosto 800 uomini furono decapitati per non aver voluto rinnegare la fede cristiana: i Santi Martiri idruntini. I Turchi distrussero anche il Monastero di San Nicola di Casole che conservava la vasta biblioteca medievale i cui Codici, prodotti in questo monastero, sono ora custoditi in prestigiose biblioteche d'Italia (a Firenze e Venezia) e d'Europa, da Parigi a Londra, da Berlino a Mosca. Dolo la liberazione della città ad opera di Alfonso d’Aragona furono riadattate le fortificazioni e riedificato il castello ad opera di Ciro Ciri e Francesco di Giorgio Martini con le più avanzate tecniche rinascimentali. Così, quando gli Ottomani tentarono nuovi assalti (1535, 1537, 1614, 1644, etc.), furono sempre respinti. Tra il Seicento ed il Settecento ci fu una lenta ripresa, ma Otranto aveva perduto il ruolo di principale centro del Salento e della Terra d’Otranto. Nell'Ottocento la campagna otrantina era malarica, sia in città, presso la Valle dell’Idro che nei laghi Alimini. Il primo progetto di bonifica fu stilato nel 1868 dal genio civile di Bari, il quale, dopo aver rilevato tutta la superficie del lago e dopo averne misurato la profondità, riconobbe le zone di impaludamento e suggerì il modo di sanarle. Le paludi, quindi, lasciarono lo spazio a terreni coltivabili. Venne ripresa l'agricoltura. Subito dopo arrivarono gli investimenti nell’agricoltura, per cui Otranto divenne uno dei principali centri di produzione della pianta madre della vite americana le “barbatelle” e -quasi contestualmente- arrivò il primo villaggio turistico di Puglia, inaugurato nel 1971.

Il Centro Storico, più volte restaurato, è uno dei meglio conservati di Puglia. Si possono ammirare tre quarti delle mura difensive originarie, i fossati, la Porta Alfonsina, la Porta a Mare, il Castello Aragonese, la Cattedrale con il suo incredibile mosaico medievale, la chiesa bizantina di San Pietro con i suoi affreschi ed innumerevoli antichi palazzi. 

La Cattedrale dell’Annunziata, consacrata nel 1088, fu edificata sotto la dominazione normanna su di una preesistente chiesa paleocristiana. Al di sotto di essa ci sono i resti di sepolture messapiche, di una domus romana, di un tempio paleocristiano. È uno dei monumenti più imponenti di Puglia, con il suo stile romanico, il rosone rinascimentale ed il portale barocco. Al suo interno custodisce il più grande mosaico medievale d’Europa. Realizzato tra il 1163 e il 1165 “per dexteram pantaleonis”, voluto dall’Arcivescovo Jonathas e finanziato da Guglielmo il Malo (qui chiamato magnificus) racchiude in immagini una serie di summae medievali. Il mosaico si estende lungo le tre navate, il transetto e l'abside, presenta un maestoso Albero della Vita con temi tratti dall'Antico Testamento, dal roman d’Alexandre e dal bestiario medievale. Nella cattedrale sono inoltre conservate le reliquie dei Santi martiri di Otranto. La chiesa di San Pietro costituisce un'importante espressione dell'arte bizantina in Puglia. Costruita intorno al IX-X secolo, fu, probabilmente, la prima basilica della città, eletta metropoli nel 968. A pianta quadrata a croce greca inscritta, presenta tre piccole navate sormontate da una cupola centrale sorretta da quattro colonne. Le tre absidi sul fondo conservano cicli di affreschi in stile bizantino databili tra X e XVI secolo. La chiesa della Madonna dell'Altomare, edificata nel XVII secolo, fu ricostruita nel 1744 come ricorda l'epigrafe posta sulla facciata. Arroccata su uno sperone tufaceo che scende direttamente nel mare, è dedicata allo Spirito Santo. La chiesa di Santa Maria dei Martiri, con annesso convento di san Francesco di Paola, fu edificata a partire dal 1614 al posto di una preesistente struttura voluta da Alfonso d'Aragona, in ricordo del terribile massacro degli ottocento otrantini che qui ebbe luogo. La struttura architettonica dell'edificio è in stile rinascimentale, mentre gli altari sono barocchi. Tra i dipinti vi si conserva un grande quadro di Lavinio Zoppo della seconda metà del XVI secolo raffigurante la strage di Otranto.

Il circuito fortificato si apre con la Torre Alfonsina presso Portaterra. Realizzata da Alfonso d'Aragona, liberatore della città dall'occupazione turca nel 1481. Il grande sistema di difesa delle mura otrantine è stato oggetto, nel corso dei secoli, di numerosi rimaneggiamenti. Un primo impianto doveva essere presente già in età messapica e romana. Il tracciato attuale ricalca in parte il circuito murario edificato sotto la dominazione bizantina, successivamente risistemato dapprima da Roberto il Guiscardo nel 1081 e in seguito da Federico II nel 1228. Le continue minacce provenienti dal mare e l'importanza rivestita da Otranto in quanto Porta d'Oriente della penisola, portò anche gli Angioini e, tempo dopo, i viceré spagnoli, a fare delle mura e del castello un efficiente modello di architettura militare. Ciò fu possibile attraverso l'intervento dei migliori ingegneri e architetti militari dell'epoca, tra i quali Ciro Ciri e Francesco di Giorgio Martini. Il Castello Aragonese “The Castle of Otranto” diede anche il nome al primo romanzo gotico della storia. Fatto costruire da Alfonso d'Aragona tra il 1485 e il 1498, opera di Ciro Ciri e Francesco di Giorgio Martini. Possiede quattro massicci torrioni cilindrici angolari a cui fu aggiunto lo Spuntone scarpato portando ad una planimetria organica nel 1578. Infatti, sul lato dell'edificio che si affaccia sul mare, venne aggiunto un bastione a lancia con dei baluardi esterni per avvistare l'arrivo di navi e flotte nemiche. Sul bastione sono incisi gli scudi gentilizi di Antonio de Mendoza e di Don Pedro di Toledo, allora signori della città, mentre sul portone d'ingresso è scolpito lo stemma di Carlo V.

Monastero di San Nicola di Casole

A pochi chilometri verso Sud c’è San Nicola de’ Casulis. L'antico monastero è uno dei luoghi più importanti del Salento, a livello storico, artistico e culturale. Il casale fu fondato nel 1098 da Boemondo I d'Antiochia. Successivamente l'insediamento venne donato a un gruppo di monaci italo greci. Attivissimo centro culturale, conservò per lunghi secoli numerosissimi volumi greci e latini. Era all'epoca una delle biblioteche più ricche d'Europa. Venne distrutta nel 1480, in seguito alla devastazione dei Turchi. Di essa rimangono oggi importanti ambienti, resti di affreschi, un puteale di epoca romana, ma tutto necessita di un importante restauro.

L’Ipogeo di Torrepinta

Ipogeo di Torre Pinta, di origine messapica si trova nella Valle delle Memorie, dove ci sono resti della etnia originaria del Salento. Lo schema è quello classico del colombarium, il cimitero paleocristiano, a croce latina con il braccio principale lungo 33 metri e gli arcosoli lungo le pareti.

Il laghetto dell’ex miniera di bauxite

Nella zona dell’Orte, c’era uno dei principali siti di estrazione della bauxite del Salento. Questo minerale dal quale si ricava l'alluminio, veniva imbarcato nel porto per giungere negli stabilimenti di Porto Marghera, dove veniva lavorata. La cava fu definitivamente abbandonata nel 1976-78 a causa del costoso processo estrattivo. La presenza di una falda freatica, incontrata durante la fase dello scavo, ha determinato la formazione di un piccolo lago di cava. La zona circostante si è quindi arricchita di piante acquatiche e paludose come la cannuccia di palude.

Laghi Alimini

Alimini grande, salmastro, ha lo schema tipico della laguna, mentre Alimini Piccolo o Fontanelle è il più grande lago d’acqua dolce di Puglia. L'ecosistema ospita numerose specie vegetali e animali ed è caratterizzata dalla presenza di due bacini circondati da vegetazione. I due bacini sono collegati attraverso un canale e danno origine a un microclima caldo umido in tutta la zona. Crescono rare specie di piante, tra cui l'orchidea di palude e la castagna d'acqua.

Porto Badisco

È uno degli insediamenti costieri di Otranto che ha avuto un importante sviluppo sin dal passato più remoto. Insieme a Portorusso, è uno dei siti costieri fortificati più antichi di Puglia. Qui c’è il più importante sito neolitico italiano, uno dei più importanti d’Europa: la Grotta dei Cervi. Il suo ingresso principale è situato a circa 28-30 metri s.l.m., sul promontorio dell’insenatura di Porto Badisco, e la sua profondità massima è di circa 26 metri sotto il livello del mare, per una estensione totale delle gallerie di circa 1500. Sulle pareti della Grotta ci sono quasi 3000 pittogrammi, dal più piccolo di circa 2 cm al più grande di circa 75 cm, concentrati a gruppi in circa 60 pannelli su entrambe le pareti di tre gallerie, per un totale di 600 metri di percorso e 1200 metri circa di disegni. I pigmenti ed i collanti impiegati sono materiali organici e minerali reperiti sul posto, per la maggior parte dipinti di colore nero, eseguiti prevalentemente con guano di pipistrello, ed in minor numero di colore rosso, eseguiti con ocra rossa ferruginosa, ottenuta con un impasto di grassi animali e colori minerali.

Il suo territorio attraversato da numerosi percorsi naturalistici. Tra cui Sentiero Cava di Bauxite – Punta Palascia; Sentiero Torre Sant'Emiliano – Porto Badisco; Sentiero Porto Badisco – Costa delle Èrgate; Cammino del Salento; Via Francigena del Sud, etc.

Patù

È uno dei luoghi della storia e del mito, l’antica Veretum delle fonti classiche, poi distrutta dai saraceni fermati dall’intervento dell’esercito francese. Questo territorio, abitato sin dall'antichità, possiede testimonianze splendide e misteriose come la Centopietre. Vereto fu distrutta dai Saraceni (IX sec.) ma l’invasione saracena fu fermata dall'imponente esercito mandato dal re di Francia Carlo il Calvo durante la battaglia del 24 giugno 877. Dalle rovine del centro messapico ebbe origine l'agglomerato urbano di Patù fondato, secondo la tradizione, nel 924 da alcuni superstiti veretini che si spostarono più a valle. A ricordo della vittoria sui Saraceni venne edificata la chiesa di San Giovanni Battista, la cui memoria liturgica ricorre proprio il 24 giugno. Durante il periodo feudale si avvicendarono varie famiglie: nel 1318 erano feudatari i Sambiasi; ad essi succedettero i Capece e i De Electis. Contemporaneamente appartenne alla curia vescovile di Alessano e al principe d'Aragona di Cassano, passò poi ai Guarino ed infine ai Granafei.

Nel suo centro storico troviamo la matrice dedicata a San Michele Arcangelo (1564) nota per via della sua misteriosa iscrizione: Terribilis est locus iste. Ha un prospetto tardo-rinascimentale, con un rosone, l'interno è a navata unica con altare maggiore e quattro altari laterali dedicati a san Michele Arcangelo, a san Francesco d'Assisi, alla Madonna del Rosario e alla Madonna del Carmine. Alla destra dell'altare maggiore è posta una statua lignea di san Michele. l'organo a 25 canne posto sulla cantoria, situata sopra la porta d'ingresso è del 1723. La chiesa di san Giovanni Battista è il simbolo della distruzione di Veretum. Secondo la tradizione, questa splendida chiesa romanica, fu edificata proprio in memoria della grande battaglia del 24 giugno dell'877 d.C. È posta alla periferia di Patù nella zona Campo Re ai piedi di Vereto. Al suo interno ci sono resti di affreschi, tra cui un San Giovanni Battista.

Di fronte ad essa c’è la misteriosa ed affascinante Centopietre. Il monumento megalitico, affascinante e misterioso, offre suggestioni simili ai monumenti che si ritrovano nel Nord della Francia o nel Sud dell’Inghilterra. Costruita con 100 blocchi di roccia calcarea provenienti dalla vicina città messapica di Vereto, lunga 7,20 metri, larga 5,50 metri ed alta 2,60 metri è un edificio rettangolare con tetto a falde spioventi. All'interno presenta diversi strati sovrapposti di affreschi a soggetto sacro, risalenti al XIV secolo. In particolare sono raffigurati tredici santi di origine orientale, eretti e frontali, secondo uno schema di ispirazione basiliana, che testimonia la trasformazione del monumento in chiesa durante l'epoca medioevale.

Vereto

La chiesa della Madonna di Vereto occupa il sito dell’antica città messapica, la sua acropoli e le mura di difesa. Il luogo, di grande suggestione, mostra oggi la chiesa (XVII sec.) fatta edificare dal Principe Zunica, Signore di Alessano. Ha una semplice facciata ed è decorata da una croce e da un campanile a vela. L'interno, a navata unica rettangolare, conserva le tracce degli affreschi seicenteschi che ricoprivano interamente le pareti. Interessante è l'iconografia di san Paolo raffigurato con una spada intorno alla quale sono attorcigliati due serpenti; ai piedi del santo vi è uno scorpione sormontato da due serpenti intrecciati a forma di caduceo.

San Gregorio

L’antico approdo, caro ai greci, di Vereto era qui. I resti delle sue banchine, sono ancora presenti sulla battigia ed è fantastico poter entrare in acqua nello stesso luogo in cui centinaia di mercanti della Grecia classica e dell’impero romano lo hanno fatto prima di noi. L’importanza di questo scalo è legata anche alla possibilità di rifornirsi di acqua. Il nome della località deriva dalla Torre di San Gregorio (XVI sec.) che è andata parzialmente distrutta, poi ristrutturata ed adibita ad abitazione privata.

Felloniche

Attaccata a San Gregorio, moderna località turistica, nasconde il suo passato legato sempre a Vereto. Qui, infatti, c’è il “pozzo di volito” cioè “to lithos” nella pietra. È un fantastico pozzo che intercetta una ricca falda acquifera all’interno della roccia viva. Da esso, le navi greche e romane facevano la fondamentale scorta d’acqua dopo aver attraversato il Canale d’Otranto e prima di giungere a Taranto. Qui è presente anche un grande monumento della civiltà contadina, la costruzione a secco denominata Pajara Papa Fedele. Si tratta di una pajara salentina costruita come il “trullo sovrano” che si incontra nella Valle d’Itria: su tre livelli. Il nome deriva dal Don Fedele De Paola (perché i preti erano chiamati, fino alla prima metà del Novecento Papa, come si usa nel rito greco). 

Itinerari naturalistici ed escursionistici

Trekking tra Patù e Giuliano: un percorso che include il Centopietre, Vereto e la Chiesa di San Pietro.

Sentieri costieri: itinerari lungo la litoranea tra San Gregorio e Santa Maria di Leuca, con panorami mozzafiato sul mare. Percorsi naturalistici: escursioni tra la macchia mediterranea, orchidee selvatiche e l’Alisso di Leuca.

Santa Cesarea Terme

Le acque sulfuree di santa Cesarea sono note sin dai tempi più antichi. La leggenda di epoca ellenistica ricorda come ercole scaraventò i giganti Leuterni e li inseguì fino a catturarli presso il Letto della Vecchia di Giuggianello per poi gettarli in mare qui. Dal loro corpo in dissoluzione nacquero le acque sulfuree. Ma in epoca cristiana, una leggenda simile ne narra l’origine. Cesarea, bellissima fanciulla che voleva farsi suora, fu inseguita dal padre che voleva maritarla a forza, giunta sul mare Cisaria chiese salvezza “aprite munte e nghiutti Cisaria” (che si apra la roccia per inghiottire Cesarea. Il padre, invece, fu inghiottito dalle fiamme dell’inferno, appunto, sulfuree.

Ma, questa località selvaggia e poco abitata, con grotte che testimoniano la frequentazione del sito sin dal paleolitico, divenne oggetto di grande interesse nel periodo “fin de siécle” quando rinacque come centro termale tanto da diventare la Vichy di Terra d’Otranto. Le acque curative sgorgano da quattro grotte: la Gattulla, la Solfatara, la Solfurea e la Fetida. Il centro, che si sviluppa con il nome di Marina di Santa Cesarea, dipese amministrativamente da Ortelle fino al 1913. Con legge 25 giugno 1913, n. 753, si stabilì la costituzione di un comune autonomo con il nome di Santa Cesarea (al quale nel 1929 si aggiunse la specificazione Terme) che comprendesse anche le frazioni di Cerfignano (prima frazione di Minervino di Lecce) e Vitigliano (in precedenza frazione di Ortelle).

La chiesa madre del Sacro Cuore di Gesù, sorta nel XIV secolo sul luogo dove secondo la tradizione morì la Vergine Cesaria, venne affidata nel 1924 ai Frati Minori che la sostituirono con una nuova costruzione. Venne elevata a parrocchia nel 1954. Presenta una sobria facciata con portale e rosone centrali. L'interno, a tre navate, termina nel presbiterio che accoglie l'altare maggiore sovrastato dalla statua del Sacro Cuore di Gesù. Di interesse artistico è la statua in cartapesta di Santa Cesaria Vergine.

Nell’immediato dopoguerra della Seconda Guerra Mondiale, qui furono ospitati alcuni dei fondatori dello stato di Israele, uno dei bar custodisce, ancora oggi, i simboli della sinagoga. Gli Statunitensi, invece, crearono le piscine all’interno delle antiche cave di carparo.

Santa Cesarea si arricchì di architetture fin de siécle che si possono ammirare ancora oggi. Villa Sticchi venne edificato tra il 1894 e il 1900 per volontà di Giovanni Pasca, primo concessionario dello sfruttamento termale di Santa Cesarea. I lavori furono affidati all'ingegnere Pasquale Ruggieri autore di molte delle costruzioni fin de siécle ed art déco del Salento. All'esterno, la struttura è circondata su tre lati da un porticato con archi poggianti su colonne tortili. La facciata si articola su due piani, collegati da una duplice rampa di scale culminante in un'ampia loggia con trifora. Delicati intagli nella pietra leccese, opera di maestranze locali, impreziosiscono porte e finestre; rimangono deboli tracce delle pitture in bianco, azzurro e rosso con arabeschi, stelle e motivi floreali. La grande cupola era accompagnata da quattro più piccole poste sopra le torri angolari. Il rivestimento esterno della cupola presentava motivi geometrici realizzati con intonaci riflettenti, sempre di stile islamico. Altra villa fin de siécle è Villa Raffaella. Edificata nella seconda metà dell'Ottocento come residenza estiva della baronessa Raffaella della famiglia Lubelli. Artefice dell'opera fu Emilio Corti, celebre architetto e ingegnere milanese, già autore dell'edificio che ospita lo stabilimento termale di Santa Cesarea. Anche Palazzo Tamborino è dei primi del Novecento, costruito come struttura ricettiva con accesso privato al mare. L'imponente facciata si sviluppa armonicamente attraverso la sapiente disposizione di corpi aggettanti e spazi aperti, come la grande balaustra sorretta da archi su colonne. La torretta ottagonale e il terrazzo presentano un registro con motivi floreali che ne ingentiliscono l'aspetto severo. All'interno, un ingresso a pianta ottagonale introduce attraverso una scala al primo piano, dotato di ampie stanze voltate e decorate con stucchi. Il territorio costiero è costellato da torri di avvistamento: Torre Santa Cesarea, Torre Miggiano, Torre Specchia di Guardia e Torre Minervino.

Cerfignano

Sulla strada romana che porta da Otranto a Minervino e da qui a Castro, Cerfignano è uno dei luoghi più autentici del Salento. Le sue ricche campagne ne hanno fatto, da sempre, un feudo ambito. Lo stemma ed il nome ricordano come questa fosse, appunto di “Cervineanum” cioè terra di cervi. Nel 1190 Tancredi d'Altavilla lo concesse al barone Roberto Anibaldo quale feudo collegato a Minervino. Dal 1398 al 1463 Cerfignano fa parte del Principato di Taranto, sottoposto alla famiglia degli Orsini, e dal 1464 al 1466 ritorna al Regio Fisco. Da un documento di Notar Nicola Massaro, redatto il 21 settembre 1464, si evince che Cerfignano e Vitigliano erano entrate a far parte della grande Contea di Castro con i privilegi delle "pescarie" (le poste di pesca in concessione dette anche Ergate per il tipo di pesca) nel tratto di costa dalla Fraula a Porto Miggiano. Numerose famiglie lo ebbero infeudato, tra di esse la famiglia del cavalier Marco Ventura ebbe in feudo il Casale da Federico d'Aragona nel 1491. Dai Ventura il feudo passò alla famiglia dei Baroni Rossi, i quali lo tennero per molti anni e fino alla soppressione della feudalità nel 1806, pur conservando il titolo baronale di Cerfignano. Cerfignano diventa comune, ma il 21 agosto 1829, un regio decreto ne stabilisce l'unione in amministrazione comunale con Minervino di Lecce. Il 25 giugno 1913 Cerfignano diventa frazione del nuovo comune di Santa Cesarea Terme insieme a Vitigliano. Nel suo Centro Storico si incontrano case a corte, case con ortali e monumenti religiosi. La matrice della "Visitazione di Maria Vergine" (1806) fu eretta sulla precedente del 1516. Presenta nel suo interno 6 altari laterali: San Vito in stile barocco, La Madonna del Carmine, il Santo Patrono Sant'Antonio, La Visitazione, La Madonna del Buon Consiglio e la Madonna del Rosario, oltre all'Altare Maggiore.

Nel suo interno sono visibili i due antichissimi sepolcreti "Sepulcra univesitati” nei quali, prima dell'editto napoleonico, venivano tumulati gli abitanti di Cerfignano. Di delicata e pregiata fattura l'immagine di Sant'Antonio, patrono principale, in legno settecentesco. Una leggenda vuole che le Chiese di San Giuseppe e di Santa Loya siano state erette, per voto, da un fratello e da una sorella miracolosamente scampati ad un naufragio. San Giuseppe sorge sulla strada per Santa Cesarea Terme (1661) e conserva il pregiato altare in pietra con la formella raffigurante il sogno del Santo. Qui era l’antico Monte di Pietà che doveva sostenere un “orfanaggio”. La Cappella di Sant'Aloya (sec. XVII) un tempo ricoperta di affreschi, di cui sono rimasti solo pochi frammenti. In passato custodiva l'altare di Sant' Eligio, Vescovo francese, patrono degli orefici e dei maniscalchi (che qui portavano i cavalli ammalati). Il nome deriva dal francese Sant’Aloi (Eligio in langue d’oeil) qui chiamato Sant’Aloya ed a Mantova Sant’Alò. La Cappella della Madonna dell'Idri (sec. XVIII), posta sulla strada per Otranto, ricorda la Madonna Odegitria del culto di rito greco praticato nel Salento.

Vitigliano

Custode dell’antica civiltà del Salento, mostra il suo menhir ed il fantastico “cisternale” che testimonia una incredibile conoscenza in materia di raccolta e conservazione delle acque in tempi remoti. Dal 1447 lo troviamo all’interno della grande Contea di Castro (fino al 1794). In questo periodo il piccolo villaggio cresce fino a diventare un centro con palazzi signorili e chiese di pregevole fattura. L’ultimo feudatario di Vitigliano fu il barone Giovanni Battista Rossi, il quale succedette allo zio, Gennaro Rossi, nel 1804. Nel suo centro storico troviamo la chiesa dell'Addolorata, sede dell'omonima Confraternita (sec. XVII-XVIII) si mostra con il suo bel portale e le due nicchie con i Santi Pietro e Paolo affrescati. Nella navata sono presenti, entro due arcate, due altari dedicati a San Michele Arcangelo e a Sant'Eligio con rispettive tele settecentesche. L'altare maggiore, in stile barocco, fu realizzato nel 1709 e custodisce, in un incasso trilobato, un dipinto della Pietà; nel 1775 fu aggiunto il fastigio in stucco. Sulla controfacciata è addossata la cantoria in cui è collocato l'organo, risalente alla seconda metà dell'Ottocento. L’altare di sinistra, è dedicato a San Michele Arcangelo, antico protettore del paese, l’altro a dedicato a San Eligio. L’altare maggiore è addossato al muro ed è dedicato alla Madonna della Pietà. La pala d’altare in pietra leccese (1709) conserva il dipinto della Pietà. Ad esso nel 1775 fu aggiunto il fastigio in stucco, col rifacimento del cartiglio e della relativa epigrafe dove si legge il nome del canonico Ciullo, committente dell’opera. La cappella di San Rocco fu edificata nel 1755. Affiancata alla torre dell'orologio civico, presenta un semplice prospetto con portale e oculo soprastante e termina con un campanile a vela. L'interno è a pianta quadrata e di piccole dimensioni. L'unico altare custodisce una statua in cartapesta di San Rocco (che in occasione delle celebrazioni in onore del patrono viene portata in processione). Palazzo Ciullo (seconda metà del Seicento) si presenta con la sua lunga balconata in pietra leccese. Originariamente gli ambienti a piano terra erano adibiti a magazzino e a stalla per i cavalli, mentre il piano superiore ospitava le stanze residenziali. Le stanze hanno volte a botte e a stella e in alcune di esse è dipinto lo stemma della famiglia Ciullo che rappresenta un chiurlo su sfondo azzurro con in alto una stella. Il palazzo, nel Catasto Onciario del 1748, risulta di proprietà del Magnifico Saverio Ciullo, Dottore Fisico e Sindaco di Vitigliano, fratello del Magnifico Angelantonio Ciullo, Capitan Sopraguardia della Comarca di Otranto, alla quale erano affidate le torri costiere da Otranto sino a Torre Minervino. Adiacente al palazzo è la cappella gentilizia dedicata alla Madonna Immacolata che custodisce una statua in legno della Vergine.

Porto Miggiano

Un porto dalla bellezza ineguagliabile, scavato nel costone roccioso e difeso dalla torre d’avvistamento. Quest’ultima appartiene a quelle ordinate nel ‘500 da Don Parafan de Ribeira. Era un importante presidio con i torrieri a guardia della costa, Tra di essi si ricordano il torriero caporale Arico Consalvo (nel 1583); il torriero caporale Cesare Tronci (1655); il torriero caporale Leonardo Cuorlo (1696) ed il torriero caporale Giuseppe Nusso (1730); Sono agli anni ’70 del ‘900 il sito ha ospitato anche una grande tonnara ed una importante cava di carparo, la preziosa pietra locale salentina utilizzata per le fortificazioni.

Tiggiano

L’antico feudo di Tiggiano compare nei documenti a partire dal 1270. Inserito nella Contea di Contea di Alessano, all’interno del Principato di Taranto, fu poi donato dagli Angioini, sotto il regno di Roberto d'Angiò, al nobile francese Rodolfo De Alneto. Seguono una serie di passaggi tra le famiglie nobiliari di Puglia tra cui gli idruntini Arcella (1309) che qui fecero erigere una imponente dimora nobiliare fortificata con torri e mura. Passò poi agli Orsini Del Balzo, ai Gonzaga, ai Brayda, ai Trane ed infine ai Gallone di Tricase. Poi, il barone Don Stefano Gallone, nel 1640, lo vendette al celebre medico e filosofo Angelo Serafini da Morciano. I Serafini, che nel 1740 si legarono attraverso un matrimonio alla famiglia Pieve-Sauli di Gallipoli, ottennero nel 1641 il titolo di barone e governarono sino al 1806, anno di eversione della feudalità. A questa famiglia si deve la costruzione, su antiche strutture difensive, dell'omonimo palazzo seicentesco dotato di un giardino all'italiana e di un bosco di lecci.

Il Palazzo Baronale Serafini-Sauli

Costruito nel XVII secolo da Angelo Serafini, esso ingloba le più antiche strutture fortificate volute dagli Arcella di Otranto. Tra i vari rimaneggiamenti, si può notare il cambio dell’ingresso che ora non si trova più sotto l’originale balconata monumentale. Dalle sue corti interne si accede al piano nobile mentre al piano terra ci sono i resti dei magazzeni. Nel piano nobile vi sono diciannove vani ed il salone di rappresentanza con le lunette affrescate da scene cavalleresche. All’interno dell’ampio giardino ci sono un frutteto ed una torre colombaia.

La chiesa matrice di Sant’Ippazio

Fu edificata nella seconda metà del cinquecento al posto di quella precedente. Si presenta con uno stile molto lineare, con la facciata settecentesca che si compone di due ordini, divisi da lesene, più il fastigio. L’ordine inferiore è delimitato lateralmente da due paraste ed esibisce al centro un portale decorato da motivi vegetali con la data 1758; il secondo ordine è animato dalle due paraste in asse con l’ordine inferiore e da una finestra centrale a lira; in alto il fastigio mistilineo (1791) con al centro una nicchia contenente la statua di Sant’Ippazio. Molto bello il portale barocco dal quale si entra al suo interno che è diviso in tre navate separate da pilastri che costituiscono la base per le tre arcate a tutto sesto. All’ingresso, sulla sinistra, è posto il pregevole fonte battesimale cinquecentesco decorato con una serie di cherubini. Il primo altare a destra è quello delle Anime Purganti, della seconda metà del ‘700; frontalmente, è posto l’altare barocco della Vergine Addolorata (o dei Sette Dolori), con tela della metà del XVIII secolo. Procedendo, troviamo due altari della seconda metà del XVIII secolo: sulla destra la Madonna del Rosario, sula destra quella del beato Alessandro Sauli. Nel transetto, sulla sinistra, è ubicato il seicentesco altare di Sant’Ippazio con tela del 1626, a fronteggiare il settecentesco altare dedicato alla Madonna di Costantinopoli (1588) alla quale erano devoti i nobili idruntini Arcella. Il suo interno conserva un’importante quadreria, in quanto gli altari conservano le tele del Martirio di Sant'Ippazio, Sant'Ippazio di Gangra (1626), la Madonna del Rosario (XVII secolo), la Madonna di Costantinopoli (XVI secolo), la Vergine dei sette dolori, la Madonna del Carmelo ed il Beato Alessandro Sauli opera del grande pittore Saverio Lillo. Molto bello il pulpito cinquecentesco con motivi arabeschi ed il settecentesco organo a canne disposto sul coro ligneo a stalli dipinti.

La cappella della Madonna dell’Assunta

Edificata nella metà del XVIII, mostra i fregi barocchi, e l’elegante portale sovrastato da un ovale con il bassorilievo della Vergine. Questo è introdotto ai lati, sul timpano, da due putti inginocchiati e con le mani incrociate sul petto. Verticalmente il prospetto è scandito da quattro lesene con capitelli compositi, e negli spazi tra una lesena e l’altra scendono dei festoni pendenti. Al centro, sopra il portale, si apre un rosone mistilineo. Al suo interno troviamo dipinti, sculture ed altari. L’altare maggiore, con il suo elegante drappo azzurro, mostra la tela della Madonna Assunta affiancata ai lati dalle statue lapidee di S. Giuseppe e S. Gaetano. Agli estremi del transetto sono gli altari di S. Giuseppe e di S. Antonio da Padova dove vi sono dei gradini che introducono alla tela del santo titolare, dipinto in un insolito paesaggio esotico all’imbrunire del sole. Accanto all’altare è ubicata una scultura della Madonna Addolorata vestita con un ampio abito nero (in tessuto) con rifiniture dorate. Nel lato opposto del transetto si trova l’altare di S. Antonio da Padova, ancora più essenziale di quello di S. Giuseppe, e anche questo sormontato da una tela raffigurante il Santo. Accanto all’altare è appesa una croce con i simboli della Passione, mentre in basso, in una teca di vetro vi è una statua del Cristo deposto. Anche qui è presente un organo a canne settecentesco. Sulla parete, a destra dell’entrata, è ubicato uno stallo ligneo con striature marmoree, dorate e brune, che era il seggio del priore della confraternita, il quale sedeva assieme ai suoi assistenti. Sulla parete a sinistra dell’ingresso è appesa una tela raffigurante S. Gaetano Thiene.

Oratorio di San Michele Arcangelo

L’Oratorio di San Michele Arcangelo, era una cappella fatta edificare dalla famiglia otrantina degli Arcella all’interno del nucleo fortificato. Un piccolo rosone ed un portale compongono la sua semplice facciata. Sull'architrave del portale è incisa l'iscrizione latina dedicatoria. L'interno, a pianta quadrangolare con volta a spigolo, è dotato di un unico altare inquadrato fra due colonne lisce. L'altare, edificato nel 1590, contiene un affresco cinquecentesco raffigurante l'Arcangelo Michele nell'atto di uccidere il drago. In uno stipo ligneo è conservata una piccola statua di Sant'Ippazio.

Cappella dell'Immacolata

Nota come il Calvario, fu edificata nel 1872 per volontà di Vincenzo Mura, mostra gli affreschi della Crocifissione, della Deposizione dalla Croce e della Sepoltura al suo esterno. Una porta centrale consente l'accesso all'interno costituito da un unico vano quadrangolare con volta a spigolo. Sulla parete di fondo è presente l'altare con la tela dell'Immacolata, realizzata nel 1873.

Torre di Nasparo

La sua zona costiera fa parte del Parco con la zona di falesia alta che domina questo tratto di Salento. Sul punto più alto c’è la bellissima Torre di Naspro (1565) nella quale, secondo l’antica leggenda, vi è intrappolato il Cavalier turchino. Da qui si può compiere uno splendido cammino per attraversare la falesia a picco sul mare sino a raggiungere il "Bosco Le Chiuse" che conserva una lecceta ed alcuni esemplari di quercia vallonea. Lungo le rocce della falesia cresce l'alisso di Leuca (Alyssum leucadeum), la scrofularia pugliese e la campanula pugliese.

Tricase

Il territorio di Tricase è abitato sin dalla preistoria come dimostrano numerose testimonianze quali i Menhir. La sua nascita è collocata tra il X e l'XI secolo, secondo alcuni dall’unione dei tre casali esistenti, secondo altri “tra i casali” presenti. La disputa sull’etimologia del nome dura da più di un secolo. Feudo importante, appare nei documenti alla fine del XII secolo, quando era feudatario Demetrio Micetti, i suoi successori furono spodestati da Carlo I d'Angiò, dopo la Battaglia di Benevento del 1266, perché sospettati di aver appoggiato gli Svevi. Il feudo di Tricase venne ceduto a Nasone de Galerato verso il 1270, passò poi ad Angelo de Cafalia e in seguito a Goffredo de Lavena. Successivamente fu incluso nel Principato di Taranto e nel 1401 fu concesso in feudo a Raimondello Orsini Del Balzo da Ladislao di Durazzo, re di Napoli. A Raimondello successe il figlio Giovanni Antonio che governò fino al 1419, anno in cui il feudo fu acquistato da Baldassarre ed Antonello Della Ratta. Nel 1480 subì i saccheggi dei Turchi che avevano invaso Otranto. Nel 1524 Ferdinando II di Napoli concesse a Ludovico Abenavoli la Terra di Tricase. Dopo il 1540, Tricase passò a Pirro Castriota-Scanderbeg e nel 1569 fu venduto a Federico Pappacoda, al quale successe il figlio Cesare. Da Cesare Pappacoda passò, nel 1588, a Scipione Santabarbara che, a sua volta, la rivendette il 20 dicembre dello stesso anno ad Alessandro Gallone. I discendenti di Alessandro Gallone possedettero il paese fino al 1806, anno di eversione della feudalità. I Gallone avevano il titolo di Principi, ottenuto a Madrid il 24 marzo del 1651 per concessione di Filippo IV di Spagna. Ancora oggi, si ricorda che Maria Bianca Gallone, ultima Principessa di Tricase, morta nel 1982.

Palazzo Gallone

Si presenta con il grande torrione casamattato con scarpatura e caditoie. Posto nel nucleo centrale del centro storico a difesa del feudo. Fu edificato nel XV secolo con mura di controscarpa e ponte levatoio. Il grande torrione fu fatto edificare dal principe Giovanni Antonio Orsini Del Balzo Più volte rimaneggiato, restano diverse strutture mentre, a partire dal 1660, Stefano Gallone, principe di Tricase, iniziò la costruzione del palazzo nobiliare sui resti di una preesistente dimora baronale. Utilizzando i massi della cortina muraria esistente fece realizzare il fronte del nuovo palazzo di aspetto austero, ingentilito da decorazioni nel portale sormontato dallo stemma dei Gallone. La facciata orientale si articola su tre piani e presenta un elegante loggiato. All'interno, gli ambienti del pian terreno ospitavano un mulino, un forno, le stalle e i magazzini. Il piano nobile disponeva di cinque appartamenti e una sala del trono. A ricordare il fasto dei ricchi arredi rimangono i portali, le volte, i caminetti, gli stemmi, i fregi e due soffitti lignei. Numerosi ampliamenti furono commissionati tra Settecento e Ottocento. Interessante, il sistema di graffiti ed iscrizioni conservati nelle sue segrete a ricordo di coloro che vi furono rinchiusi nel corso dei secoli.

Castello di Tutino

Il castello è tra i pochi nel Salento a conservare ancora parte del fossato originario. Edificato nel XV secolo, costituì nei secoli un rifugio sicuro per gli abitanti del casale di Tutino. Le sue possenti mura, alte 6-7 metri e spesse 1,40 metri, sono realizzate in pietrame e bolo e presentano la parte inferiore scarpata. Delle numerose torri poste lungo il circuito murario, ne rimangono solo cinque, alcune con base a scarpa, collegate sulla sommità da un cammino di ronda visibile ancora in alcuni tratti. Verso la fine del XVI secolo fu ceduto dal conte di Alessano Andrea Gonzaga a don Luigi Trani. Quest'ultimo ne ampliò e trasformò la struttura per farne una dimora signorile. Sul lato orientale, il fossato lasciò il posto a un'elegante facciata rinascimentale articolata su due livelli con un severo portale sormontato dallo stemma nobiliare: un drago alato che guarda una stella ad otto punte mentre presenta, sulla destra una testa di toro e sulla sinistra un libro. Lungo la facciata un registro con un'epigrafe in latino ne ricorda la costruzione avvenuta nel 1580. Ognuna delle finestre della facciata riporta nella decorazione dell'architrave un motto in lingua latina.

Divenuto successivamente di proprietà della famiglia Gallone, ultimi baroni di Tutino, passò poi nelle mani della famiglia Caputo che ne destinò gli ambienti alla lavorazione del tabacco fino agli anni sessanta del secolo scorso. Oggi è un importante contenitore culturale.

Castello di Caprarica

Il castello di Caprarica “castello facto per mastro Antonio renne de Tricase a(nno) 1524” come riporta Cosimo De Giorgi, si presenta a pianta rettangolare. Le mura, alte dai 6 ai 7 metri e spesse 1,40 metri, sono realizzate in conci irregolari di carparo bruno e presentano un robusto toro marcapiano. Sormontate da piccoli beccatelli che sostengono la cornice superiore, sono rafforzate agli angoli da torri circolari con base scarpata. Il severo portale è difeso da una tripla caditoia.

Torre del Sasso,

Situata sulla cresta della Serra del Mito a 116 metri sul livello del mare, edificata nel 1584, presenta una base troncopiramidale. Dalla sua sommità era possibile avere la comunicazione diretta con le altre torri e con l’intero sistema difensivo di questa parte del Salento.

Torre Palane

costruita con blocchi di arenaria estratti in loco, si eleva per 15 m in altezza ed è posta a 15 m s.l.m. Possiede una base troncopiramidale leggermente scarpata e, sopra il cordolo, prosegue con un corpo centrale parallelepipedo coronato da beccatelli. Sul lato monte vi è una sopraelevazione dotata di caditoia per la difesa della porta di accesso al primo piano.

Chiesa madre della Natività della Beata Vergine Maria,

Fu edificata sul luogo delle precedenti chiese parrocchiali, a partire dal 1736, quando il progetto fu affidato al domenicano Tommaso Manieri. La struttura della matrice di Tricase è impostata su pianta a croce latina con tetto a volte, un grande arco a tutto sesto domina la navata centrale ed il transetto creando una “cupola” dalla quale, attraverso 4 finestre a forma di lira, inonda di luce la chiesa. Così si notano le delicate decorazioni tardo barocche. Nella navata centrale si trovano 6 cappelle, ciascuna col suo altare avente la propria pala e tele laterali di forma ovale; nel transetto hanno sede altri sei altari, aggettanti sulla muratura, dalla macchina maestosa e decorati con stucchi e colonne di varia tipologia. Quelli di patronato mostrano i blasoni delle casate, riprodotti sulle tele e sui manufatti. Due nicchie nella controfacciata ospitano le statue lignee settecentesche dell’Immacolata e di S. Vito martire, attuale patrono della città.

Chiesa di San Domenico

Annessa al convento dei Domenicani, la cui fondazione è attestata nel XV secolo, fu edificata tra il 1679 e il 1704, su un preesistente impianto devastato più volte dai Turchi tra XV e XVI secolo. La facciata, ultimata nel XVIII secolo, presenta un portale sormontato dalla statua di San Domenico di Guzmán e dai busti di San Pietro e San Paolo, titolari del convento. L'interno, a navata unica, è scandito da otto profonde cappelle intervallate da statue policrome di santi domenicani. In fondo alla navata, dietro all'altare maggiore, è collocato il coro, intagliato in legno di noce, realizzato dal tricasino Oronzo Pirti.

Chiesa di San Michele Arcangelo

Commissionata nel 1624 da Cesare Gallone, figlio del barone Alessandro, ha una facciata irrobustita agli angoli da pilastri con paraste terminanti in capitelli ionici e un coronamento, in stile catalano-durazzesco, che incornicia lo stemma dei Gallone. L'interno è a navata unica con volta a spigolo, impreziosita da elaborate chiavi di volta in pietra leccese e festoni. L'altare maggiore è dominato da una grande statua policroma dell'Arcangelo Michele che atterra il drago.

Chiesa Madonna di Costantinopoli (o dei diavoli)

edificata nel 1685 da Jacopo Francesco Arborio Gattinara, marchese di San Martino, così come riportato sull'architrave dell'ingresso principale è chiamata chiesa dei Diavoli, per via di una leggenda che la vuole edificata dal diavolo in una notte a seguito di una scommessa. Possiede un'insolita forma ottagonale, scandita all'interno da arcate a tutto sesto. Per tutto il XVIII secolo la chiesa venne officiata; il progressivo decadere dell'edificio spinse il vescovo Masselli ad interdirla al culto nel 1878. Nel 1966 fu acquistata dall'amministrazione comunale che, agli inizi del XXI secolo, ha provveduto al restauro.

Convento dei Cappuccini

Chiesa e convento dei Cappuccini, furono edificati nel 1578. La chiesa presenta una semplice facciata, arricchita solo da una nicchia barocca contenente la statua dell'Immacolata. Alla base della nicchia è incisa la data 1784, anno in cui la chiesa fu interessata da lavori di ristrutturazione e rinnovamento. In corrispondenza della finestra e della porta d'ingresso è posta una caditoia a scopo difensivo, elemento presente anche su tutto il perimetro del convento. L'interno, a navata unica, custodisce un altare maggiore ligneo, finemente intarsiato, e numerose tele distribuite lungo i muri laterali.

Abbazia del Mito

è un complesso abbaziale fondato dai monaci italo-greci tra l'VIII e il IX secolo. Nel tempo, l'abbazia si evolse in un notevole centro di cultura e diventò una masseria totalmente autosufficiente. Da un documento del 1533 si apprende che l'Universitas di Tricase ricorse persino a Carlo V per assumere le sue difese. Nel Seicento la situazione del complesso fu misera a causa delle scorrerie dei pirati e delle continue spartizioni e invasioni di terreni fra i feudi circostanti. Nei secoli successivi la situazione degradò sempre più, fino al completo abbandono della struttura. Dell'abbazia resta molto poco, nell'ordine di ruderi e lacerti di murature. Ben conservata è la torre colombaia.

Cappella della Madonna di Loreto

risale al XVIII secolo. Presenta una sobria facciata, sul cui portale è affrescata l'immagine della Vergine. L'interno, ad aula unica, è caratterizzato da un pavimento a mosaico eseguito nel 1879 dai fratelli Peluso. Conserva un piccolo altare, sovrastato da una tela riproducente la "Madonna col Bambino", e una statua lignea della Madonna di Loreto.

 

Chiesa della Madonna del Gonfalone

Scavata nella roccia in un declivio tufaceo, la cripta è sostenuta da colonne di pietra in unico blocco o pilastri costruiti con conci di materiale del luogo. Ha subito nel tempo vari interventi; quello più evidente ha lasciato traccia riguarda la parte centrale con la costruzione dell’altare principale con balaustra e recinto. Ai lati si trovano due cappelline scavate nella roccia un tempo affrescate. La luce all’interno entra da 10 fori praticati sulla copertura, mentre altri 3 lucernai sono stati chiusi. L’ingresso originario posto sul lato nord è stato murato. L’ingresso attuale è stato praticato a sud con una nuova scala più ampia contenuta in un vano con copertura a botte, sormontata dall’arme prelatizia in parte illeggibile di Antonio Porzio, vescovo di Monopoli dal 1577 al 1598, che ebbe in commenda l’abbazia del Mito dalla quale dipendeva la grancia del Gonfalone. In corrispondenza dell’area presbiterale delimitata, si alzano all’esterno i muri in conci di tufo di un vano rialzato con 8 finestroni, due dei quali murati, che danno luce all’ambiente sottostante e un campaniletto a vela che regge un’unica campana; l’area circostante è stata pavimentata con “chianche”, per consentirne l’uso ai fedeli e per maggiore protezione della cripta sottostante.

Tricase Porto

È uno degli approdi del Salento, conserva una architettura fatta di palazzi nobiliari usati come “casina estiva” e alcune ville fin de siécle. Fu importante durante la Grande Guerra per ospitare una parte della flotta leggera e veloce inglese, nonché uno dei comandi della Royal Navy presso l’adiacente Villa di Codacci Pisanelli.

Marina Serra

È delimitata a sud dal Promontorio del Calino, a ovest dalla strada che collega Otranto a Leuca e a nord dall'altra frazione di Tricase, Tricase Porto. La sua costa alta e rocciosa scende giù fino a presentare la meravigliosa piscina “naturale” che si è creata dall’abbandono delle cave costiere di pietra leccese. È presente un piccolo porticciolo di pescatori.

La Quercia dei 100 cavalieri

maestosi e plurisecolari esemplari di quercia vallonea, si sono adattate in questa area dove hanno trovato le condizioni pedoclimatiche ottimali per la sua riproduzione spontanea. È l'unico bosco di Quercus macrolepis presente in Italia ed in generale all'avamposto più occidentale di questa specie in Europa. L'area a maggiore densità di vallonee gravita verso il mare, ovvero l'area compresa tra la Serra del Mito, Tricase Porto e Marina Serra, confermando le esigenze ecologiche, pedologiche e antropiche della specie, diffusa specialmente sulle creste delle serre e sui terreni impervi digradanti verso il mare. Un esemplare plurisecolare di quercia vallonea, nota con il nome di Quercia dei Cento Cavalieri, risale al XIV secolo e si innalza lungo la strada Tricase-Tricase Porto; il tronco ha una circonferenza di 4,25 m e la chioma occupa una superficie di circa 700 m².

Il Canale del Rio

Un canalone frutto dell’erosione, fra Tricase Porto e Marina Serra, che ha le pareti a strapiombo sul mare. Il tratto interno mostra terrazzamenti coltivati ad ulivi e dominato, nei tratti più impervi e rocciosi, da pino d'Aleppo e da un folto sottobosco arbustivo; lungo le sponde del tratto di canale più prossimo al mare, invece, sono presenti formazioni vegetali a macchia.